2024

RITMO E ARMONIA NELLA POETICA DI PAOLO OBER - (per lo studio "Pictures at an Exhibution - omaggio a Modest Musorgskij")

Da sempre impegnato in una lunga e complessa ricerca artistica che lo ha portato nel tempo e con successo a indagare le varie modalità espressive offerte dalla pittura e dalla grafica, sin dagli anni ’80, Paolo Ober è anche attratto dall’arte multimediale e dalle sue infinite potenzialità che egli esplora realizzando video e creazioni in cui arte, fotografia, musica e poesia si fondono in narrazioni di particolare impatto visivo e profondo coinvolgimento emotivo. Appassionato conoscitore di tutti generi musicali e sedotto dalla magia del pentagramma quanto dalla tavolozza tanto da assicurarsi, nell’atelier in cui crea le sue composizioni, un raffinato, costante accompagnamento musicale, l’artista muove il pennello sulla tela delineando un’armoniosa, colorata danza in cui tutto sembra leggero, fluttuante e spontaneo, ma nulla è lasciato al caso. Animo gentile, sensibile e apparentemente pacato, in realtà spirito curioso, ironico e inquieto, inguaribile sognatore alla perenne, incessante ricerca del misterioso equilibrio che regola le cosmiche armonie, Paolo Ober è oggi un artista completo e complesso, in cui ciascuno dei suoi molteplici interessi artistico-culturali gioca, come detto, un ruolo essenziale nell’accurata progettazione e altrettanto puntuale elaborazione di composizioni visive del tutto originali e personali. Partendo da un linguaggio chiaramente figurativo, dalla scelta di cromie vivaci e decise e da un velato, garbatamente ironico, intento narrativo, elementi questi marcatamente presenti nelle sue prime opere, Ober elabora nel corso degli anni una consapevolezza artistica di particolare spessore che lo induce a quella mirabile sintesi formale e cromatica che ne rappresenta l’attuale cifra connotativa. Una sintesi raffinata ed elegante che, tralasciando dettagli e compiacimenti virtuosistici, magistralmente si focalizza sulla sinuosità della linea e sull’equilibrata distribuzione dello spazio compositivo di ogni opera e, grazie all’oculata, fattiva gestione del tratto pittorico in campi cromatici sapientemente sfumati, offre all’osservatore visioni ritmiche complesse, anche tridimensionali, sempre esteticamente armoniche e coloristicamente delicate, sottese a numerosi piani di lettura. Se l’occhio meno allenato ed attento si sofferma infatti ingenuamente e superficialmente solo sulla bellezza estetica delle costruzioni fantastiche elaborate da Paolo Ober o sull’evidente sentore poetico di alcune sue visioni oniriche, si smarrisce inevitabilmente la vera chiave di lettura che permette di comprendere il lungo e complesso lavoro di ricerca svolto da un artista per il quale il processo creativo finalizzato alla suprema armonia, mai è scevro, come in natura, da un preciso, rigoroso ordine. Come ben sottolinea lo stesso pittore in alcune preziose riflessioni poste a commento di alcune sue recenti opere e raccolte nel volume “Elegia al quadrato”: “… La natura sempre insegna e sempre incanta perché la sua realtà supera la nostra fantasia. Ed ecco finalmente il momento in cui si comprende che il fiore ubbidisce a una geometria, che la foglia esegue un multiplo matematico e che nel meraviglioso frattale di un broccolo vi è l’infinito gioco dei numeri. Irresistibilmente riconosciamo la matematica e la geometria come vero linguaggio naturale della bellezza e dell’armonia…”. Geometria quindi e matematica e ritmo, come in uno spartito musicale.
Non è quindi un caso che Paolo Ober, alla perenne ricerca di una nuova sfida creativa, si sia avvicinato con garbo e curiosità ad una delle composizioni più famose, amate e innovative di Modest Petrovič Musorgskij, la celebre suite “Quadri di un’esposizione - Ricordo di Viktor Hartmann”. Composta dal suo autore per pianoforte nel 1874 e successivamente ripresa da molti musicisti tra cui Maurice Ravel anche in forma strumentale, l’opera nacque come omaggio di Musorgskij all’amico architetto e pittore prematuramente scomparso e a seguito di una grande mostra antologica a lui dedicata e si propone come virtuale, immaginifico percorso musicale lungo i dipinti di Hartmann selezionati per l’occasione a Pietroburgo. Dotata di un carattere fortemente sperimentale in cui, anticipando la musica del Novecento anche grazie ad un innovativo linguaggio musicale connotato da un massiccio uso dei pedali del pianoforte e di accordi dissonanti si scioglie definitivamente il legame con la grande tradizione romantica, la suite del compositore russo è suddivisa in quindici brani, dieci ispirati ai dipinti dell’amico pittore e cinque stacchi, le Promenade (passeggiate) che rappresentano il movimento del visitatore all’interno del virtuale percorso espositivo. In realtà Musorgskij utilizzò solo spunti e suggestioni iconografiche suggeriti dai dipinti di Hartmann per comporre con forza visionaria quadri musicali autonomi ispirati a tematiche a lui da sempre particolarmente care come le scene popolari, il mondo della fiaba e dell’infanzia, il senso del grottesco e la concezione epica della storia russa. Fungono, come detto, da intervallo le Promenade, brani con lo stesso tema ripetuto e diversificato solo da piccole variazioni che, raccordando i sostanziali cambi di tono, ritmo e ambiente dei quadri principali, rappresentano elementi di raccordo e coesione in una composizione altrimenti fortemente disomogenea. Paolo Ober partendo da un ascolto attento e appassionato della celebre suite ne ha captato impressioni ed emozioni sonore concretizzando sulla tela, con il linguaggio sintetico e originale che lo contraddistingue, immagini e costruzioni visive davvero originali che, in sequenza, danno vita ad una sorta di piccola narrazione in movimento di cui ogni dipinto rappresenta un singolo frame. Peculiare e indovinata a tal proposito la scelta del pittore di catturare il ritmo di ogni brano musicale all’interno di una figura geometrica altamente simbolica come il quadrato, da sempre rappresentativa della perfezione terrestre e figura antidinamica per eccellenza. Come scrive lo stesso Ober: “… il quadrato è l’equilibrio elevato a potenza. I lati del quadrato e le sue diagonali tutte eguali tra loro esprimono l’apoteosi festosa dell’equità formale. Se per gioco si vuol poi dividere segmenti e angoli, il quadrato offre una civettuola danza di effetti ciclici, di ritmi musicali…” Aggiungendo inoltre audacemente alle cinque Promenade una tela conclusiva intitolata “Uscita”, l’artista ha realizzato una monumentale opera pittorica sempre a forma quadrata, in cui le sedici composizioni rappresentano al meglio elementi di una vera sinfonia visiva in cui forme e cromie davvero danzano sulle vibranti note di Modest Musorgskij. Significativa e simbolica inoltre l’opzione del pittore verso una gamma cromatica limitata a pochi colori, quattro per l’esattezza, con i quali tuttavia egli magistralmente gioca delineando, come per magia, architetture, volumi, forme e superfici in una costante, felice ed equilibrata sintesi tra figure geometriche, note musicali, elementi matematici e fantastiche, oniriche visioni. Se infatti i brevi brani di collegamento a tema ripetuto con minimali variazioni, le Promenade di Musorgskij, a cui si aggiunge, come detto, nell’opera di Ober la tela “Uscita”, si concretizzano in dipinti molto simili in cui due figurine stilizzate guizzano ritmicamente sulla tela, è trasponendo in immagini i dieci quadri principali della suite che l’artista trentino esprime con efficacia e convinzione la sua complessa, raffinata poetica. In “Gnomus” infatti l’essere repellente che si contorce e muove a fatica delineato da ben tre complesse sezioni musicali in cui fraseggi con figure guizzanti e fulminee, chiuse da pause, si alternano a pizzicati, trilli e folate cromatiche, viene ben rappresentato da Ober con una figura greve e imponente, quasi debordante dalla superficie della tela, una sorta di giullare tentacolare, indimenticabile protagonista di paurosi incubi infantili. La dimensione del sogno, sfumata e distante, percepibile dal ripetersi incantatorio delle figure ritmiche e melodiche de “Il vecchio castello” è invece efficacemente descritta dalla scena cortese del menestrello che, ai piedi di una medioevale costruzione forse ispirata al Palazzo Pretorio di Trento con la sua imponente Torre Civica, intona il suo malinconico canto. Assai diverso il ritmo dei quadri VI, “Litigio di fanciulli”, IX, “Balletto dei pulcini” e XII, “Il mercato di Limoges”, in cui schizzi di note, giochi di prestigio musicali, timbri e colori iridescenti messi in campo dal compositore russo si traducono nelle altrettanto spettacolari fantasie, negli stupefacenti virtuosismi formali e nei cromatici coriandoli di Ober. Diverso, severo e grave al contrario il registro compositivo dei quadri VII, “Bydlo”, il tradizionale carro polacco trainato da buoi, X, “Samuel Goldenberg e Schmuyle”, emblematico, ironico dialogo tra due ebrei polacchi, e XIII, “Catacombe con morti in lingua morta” ben resi dal pittore con elementi figurativi ora allungati, ora corposi o ancora inquieti come prigionieri rinchiusi da claustrofobiche architetture da cui, guizzanti, cercano di evadere. La suite si completa con le composizioni forse più note al pubblico, il quadro XIV, “La capanna di Baba Jaga” e il XV, “La grande porta della capitale”, in cui la tumultuosa, scatenata pulsione della folle e perfida strega e la solenne magnificenza corale sottolineata dai rintocchi delle campane a descrizione del progetto di sostituzione delle antiche porte di Kiev elaborata dall’architetto Virktor Hartmann, si traduce nelle indimenticabili, fantastiche e prospettiche architetture di Paolo Ober, chiudendo in modo davvero mirabile l’originale e contemporanea raffigurazione pittorica di una delle pagine più amate della storia della musica.

testo di

Nicoletta
Tamanini

Trento
2024

Commento all’opera “Macchina inutile: sveglia per tarli”

Abbiamo una forma di poesia concettuale dove non c’è una disciplina tradizionale come per esempio quella pittorica. Non ha importanza la tecnica usata ma il risultato ottenuto. Quindi si usa la materia. Non emerge quella parte poco rilevante di pittura presente sulla materia ma emerge una straordinaria composizione che consente di associare in modo molto sapiente ed estremamente artistico degli oggetti che hanno la stessa funzione dei colori posti sulla tavolozza di un pittore. E allora lui cosa fa? Innanzitutto si procura tutto il materiale necessario, come un cuoco che deve fare una minestra raduna tutti gli ingredienti, e decide come metterli insieme. Il risultato finale è quello che conta. Il cuoco deve fare qualcosa di buono altrimenti non ci siamo. Qui l’operazione apparentemente è complessa e c’è della gente che mi dice “non ci capisco niente”. Ma è solo perché pensano di dover capire delle cose che non è necessario capire. E’ perché non fanno delle associazioni semplici. Che nella semplicità degli accostamenti si ha spesso la risposta a quello che apparentemente è complicato e impossibile da conoscere.

testo di

Marco
Cagnolati

Brescello (RE)
2023

Nelle opere di Paolo Ober il colore è un tramite per “svelare” la luce nella sua duplice veste di fenomeno ottico e di manifestazione di una realtà soprasensibile. Intensità, fluidità, dinamismo, vibrazione sono qualità fisico-percettive del colore che in queste opere invitano lo sguardo ad attraversare la soglia del sensibile per entrare in una dimensione di armonia universale, di respiro cosmico che irradia di luce l’esistente, rendendolo vivo, pulsante e in perenne mutamento.

La prima parola che viene in mente è complessità. Nel significato etimologico del termine. Ovvero intrecciare, tessere insieme. Non solo perché di fatto le forme che dialogano all’interno delle opere sembrano sempre intrecciarsi come in una sorta di abbraccio corale. C’è questo senso di coralità nei suoi lavori. Ma anche perché la complessità è una accezione di concetto, ovvero di suggestioni diverse che convivono all’interno dell’opera. La pittura è un condensato di tante passioni, conoscenze, ricerche che Paolo ha fatto nel corso degli anni. Che vanno dall’arte multimediale, alla grafica, alla sua passione sconfinata per la musica, che lo porta poi anche ad avere una profonda conoscenza di questo linguaggio. Ed in maniera così sincretistica lui tiene insieme queste anime diverse all’interno della sua pittura. Pittura in cui, ritornando alla rilevanza del colore, Paolo ci ricorda che il colore è luce. Che si dipinge con la luce. Ci può sembrare banale dirlo ma in realtà spesso colore e luce sono identificati come valori espressivi di valore diverso, in pittura. In realtà non è così. Paolo sa bene che quello che cerca è la vibrazione luminosa nel colore. E perché cerca la luce? Perché la luce è energia, un’energia cosmica, un’energia che si irradia nello spazio dei suoi lavori. È un’energia che attraversa le cose e le trasforma visivamente. Che crea appunto questo senso di movimento continuo. Tutto si muove, tutto è un vortice, tutto è dinamico, tutto è estremamente vitale nei suoi lavori. A questo si aggiunge poi una ricerca che lui continua a fare sui simboli. Alcune opere, se fossero messe insieme, potrebbero essere un manuale di simboli che vanno dalla cultura celtica a quella alchemica, simboli che ovviamente lui ha elaborato nel corso degli anni creando una sorta di codice criptico. Guardando questi quadri mi viene in mente che si potrebbe definirli dei mondi quantici, pensando a quello che oggi dice la teoria quantistica, ovvero all’idea di uno spazio in cui non c’è distanza tra le cose, all’idea di uno spazio percorso dall’energia che accomuna tutti, che abbraccia tutti. Ecco quindi di nuovo questo senso di empatia tra le cose, di fusione tra cose, che nei suoi lavori è uno degli aspetti più rilevanti.

testo di

Daniela
Pronestì

Roverè della Luna
(TN)

2023
Paolo Ober è uno degli artisti contemporanei più dotati ed efficaci nel comunicare, con immediatezza, emozioni e bellezza. L’artista conosce profondamente le tecniche della pittura, ma soprattutto, è dotato di una sensibilità straordinaria nell’esprimere e tradurre il suo animo e le sue passioni in colori e luminosità.

testo di
Antonio Castellana

Noale
(VE)

2023

Egli estrae il colore e la forma dalle cose e li proietta oltre, in una visione stilizzata, nella ricerca di un senso più nitido, tagliente, anche se gioioso, non semplificato, anzi più profondo. Fa pensare, mentre fa godere. Nell’ambito della mostra Le Sette Stanze si avverte i tentativo di stabilire un tessuto, un filo conduttore: cerchiamo di scoprirlo. Se il sette è effettivamente un punto d’arrivo.
In “the piper at the gates of dawn”, suonatore di flauto alle porte dell’alba, l’aspirazione all’universale traspare anche dal fatto che la figura umana ha il colore del cielo, l’azzurro, quello sopra le teste e nei polmoni di tutti. Dovrà trasformarsi nella dolcissima musica della creazione continua, dal soffio della coscienza di ciascuno. L’Eden, l’Età dell’oro è nei polmoni della nostra anima, suggerisce Ober: non credete alle religioni, o al potere, quando reclamano per sé, negandolo a te, il diritto alla musica, al soffiare il senso dentro e al dare il nome alle cose. Così la danza è di ciascuno di noi. Il ricamo in quest’opera, questo dice: sei sempre tu in ballo.
E “bye bye Loppio” significa: se si prosciuga il lago, è la tua vita che si secca. Clima e guerra minacciano non solo i popoli, la stessa terra.
Bentornata primavera” ribadisce che l’acqua è sotto, in mezzo e sopra, e perciò ciclo. E verde è facile, si espande. Ed è per te essere al centro ad essere linfa, a spingere in alto, mettendoci la fiamma interiore: sei tu il sole. Nell’”applauso” il battito delle mani con le quattro dita che, col pollice, quinto, si incastrano rumorose, è anche riconoscimento reciproco e sincronia tra coscienza e cosmo, confermati fino allo splendere della stella dalle sette punte.
E così stelle, sole, circolarità, tessuto stretto, e l’aggancio al centro. Ma sempre verso l’alto e verso il dentro, dove la leva non solleva solo il mondo, perfino il cosmo. Diventa allora forse chiaro a tutti perché Paolo Ober doveva, finire, con la sua arte, nella stanza più luminosa, della Casa della Pittura Fonetica, al sette. Basta assorbire le sue opere e lasciarsene spazzolare l’anima. Lo aveva ammesso lui stesso, d’altronde: che ha sua volta era stato ispirato , per “applauso” dal settimo canto del volume appena acquistato “Tu Sei Tutto fino al Settimo Cielo.” La legge dello specchio, della reciprocità funziona.
E forse anche quella di natura che tutte le cose tendono all’unità, a sostenersi ed inanellarsi, a dimostrare a se stesse un destino comune.

testo di

Alberto Sighele

Rovereto
(TN)

2021

LA "SPARIZIONE" DELL'ARTE (e dell'artista)
articolo pubblicato su Trentino Mese di luglio 2021, in riferimento alla mostra "Mostra d'arte senza opere d'arte"

Mentre Paolo Ober fa sparire l’oggetto della mostra sostituendolo con QRcode, le opere di R.P. sono emesse da una macchina, proponendoci un viaggio nell’arte prodotta dai robot: l’artista è esautorato. Da una parte la sparizione (temporanea) dell’opera, dall’altra la scomparsa dell’artista. Ma un algoritmo può immaginare l’arte?
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(didascalia ad una foto) L’artista Paolo Ober con la serie dei suoi QRcode colorati: ogni tassello è una porta aperta sull’infinito, per aprirla bisogna utilizzare il QRcode. Che bisogno c’è di viaggiare fisicamente nei musei se l’arte è a portata di smartphone? È questo il futuro?
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(didascalia ad una immagine) Il QRcode è una versione bidimensionale del codice a barre, composto da pattern di pixel solitamente in bianco e nero. In mostra ci sono code personalizzati con il colore, potenzialmente VERE E PROPRIE opere d’arte.
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Dove va l’arte? Ovviamente segue molteplici strade e svariati sentieri, oscillando tra tuffi nel passato, voli nel futuro e atterraggi nel presente. Ma ci sono alcuni indizi – che vengono da lontano peraltro e dalle più disparate fonti – che ci fanno intravvedere le possibili arti nel futuro prossimo. E per cogliere gli esiti è necessario frequentare altri territori, fuori dai circuiti delle gallerie d’arte, dei musei e dai luoghi deputati: bisogna fare due passi al Dipartimento di Ingegneria e Scienze della Comunicazione (DISI) a Povo nel caso di Paolo Ober oppure presso le splendide e arcaiche sale della Galerie90 di Rio Pusteria nel caso di R.P.. Ebbene, il primo artista fa sparire totalmente le opere sostituendole con QRcode colorati, ognuno dei quali rimanda via internet all’immagine del quadro con una propria didascalia descrittiva. L’idea dell’artista prende spunto dai cambiamenti che la pandemia Covid19 ha imposto in maniera perentoria alle nostre abitudini e ai nostri modi di fare le cose. Il lavoro, lo studio e la fruizione della cultura sono stati improvvisamente e necessariamente permeati dalla virtualità e dalla tecnologia. Da questo punto di vista, quale luogo più opportuno dell’ingresso dell’università che si proietta, tra il resto, verso una futura idea di fusione tra il mondo fisico e quello digitale? La mostra potrebbe dunque esprimere una forma di entusiasmo verso il progresso e verso il moltiplicarsi delle possibilità di godere di nuovi tipi di relazione professionale e personale. Sebbene non sia arrivato ai limiti estremi come Marchel Duchamp con il suo ritirarsi nel gioco degli scacchi inteso come massima espressione estetica, concettualizzando totalmente il fare arte, Ober ha messo in luce la possibilità dell’artista di immettere nella mastodontica rete neurale le opere, affidando il ruolo del filo di Arianna a strumenti ormai in uso come il QRcode. Non spaventiamoci però. Il fare di Paolo Ober assume più una connotazione provocatoria, una certa nostalgia per una normalità soffocata, frutto di mesi chiusi in casa dove la normalità è stata violentemente e duramente alterata modificando bruscamente affetti, amori, odi, gesti mimici del corpo e del volto, piuttosto che una via da perseguire all’infinito nel labirintico mondo della rete, dei rimandi, dei continui giochi degli specchi. La “mostra d’arte senza le opere d’arte” è una curiosità tecnologica: in fin dei conti da qualche parte l’opera c’è, il gioco sta nel trovarla. Questo già succede nei tour virtuali di musei, gallerie e luoghi d’arte. Più radicale è l’opera di R.P. , le cui opere sono “espulse” da macchine a controllo numerico computerizzato (CNC), proponendoci un viaggio nell’arte prodotta dai robot nel quale l’artista (con i suoi sentimenti umani) è esautorato. (…)
Quindi da una parte la sparizione temporanea dell’opera d’arte e dall’altra l’annunciata scomparsa dell’artista. Un algoritmo può reimmaginare l’arte? Una rete telematica può svelare i collegamenti più impossibili per noi umani? Sono temi non da poco che il mondo dell’arte non ha ancora il coraggio di affrontare in modo serio e costruttivo. Anche qui le strade sono infinite: ci si può perdere dentro la rete, si può abdicare ai saperi artigianali, ci si può lasciar trascinare dall’onda cercando di surfare di cresta in cresta. Personalmente le opere dei due artisti le guardo, le apprezzo e le cerco, perché mi indicano la possibilità di “uscire dal mondo”, da questo mondo, da questa concezione del tempo, per catapultarmi nel meandrico universo di “n” mondi possibili. Queste modalità potenzialmente moltiplicano le realtà virtuali estetiche e pedagogiche. Siamo ai principi di uno sviluppo di cui non riusciamo – o non vogliamo – cogliere gli orizzonti, anche perché il nostro sguardo è pur sempre più limitato di quello dell’occhio intelligente che ci controlla dall’alto incastrato in un satellite. Qualcuno ha ipotizzato che già oggi si viva in mondo in cui nessuna fede sopravvive, ma soltanto dispute intorno ai resti delle fedi. Se l’arte era una fede, oggi almeno in parte, non lo è più. Richard Dawkins, etologo, sta ripetendo da anni che l’uomo non può avere un fine, essendo un mezzo dei suoi geni che di lui si servono come veicolo per attuare la sua specie. Senza essere così drastici, ricordiamo la frase di Nietzsche che troviamo nel Canto dell’ebbro, dove grida: “colui che un giorno insegnerà il volo agli uomini, avrà spostato tutte le pietre di confine, esse voleranno tutte nell’aria per lui ed egli darà un nuovo nome alla Terra, battezzandola “la leggera”. I nostri due artisti stanno calpestando vie nuove.

testo di

Fiorenzo Degasperi

Trento

2019

INSEGUENDO LA BELLEZZA

Il clima fantastico della pittura di Paolo Ober viene spesso interpretato come onirico... corpi incorporei, figure irreali e danzanti nello spazio, spazio di pura invenzione, eppure questa viosIonarietà non appartiene al sogno così le sue composizioni, le sue immagini, non sono derivate dai fantasmi e dalle connessioni assurde dell'inconscio anzi, al contario, sono il risultato di una sintesi formale ed espressiva che l'artista ha coltivato, nutrito, arricchito, nel corso di una vita, l'età della sua vita con l'arte, che ben presto ha scelto di abbandonare la riproduzione della realtà per percorrere un viaggio tanto più libero quanto più impegnativo. In viaggio con se stesso, attraversando emozioni e sentimenti, incontri e fascinazioni diverse nelle quali si intessono e si fondono passione e spiritualità; concretezza della materia ed illusione, o anelito, di leggerezza. Una via intrapresa con la preoccupazione, in primis, non del gradimento estetico o della comprensione “degli” altri ma del riconoscersi, e poi del desiderio di comunicarlo e condividerlo “con” gli altri. La sua ricerca espressiva - sempre in progress, soprattutto nel confrontarsi con la materia pittorica, anzi i materiali che possono dialogare con la pittura - costantemente aperta e disponibile alle contaminazioni più desuete, potremmo collocarla in una dimensione sospesa tra scienza e magia, (chissà forse le sue due intime nature)! Si perché da una parte c'è l'artista che sperimenta, come un alchimista, la compatibilità tra gli elementi (canonici e no, nei suoi lavori interagiscono spesso anche ingredienti alieni alla pratica pittorica...), e che studia l'equilibrio ottico delle combinazioni dei colori e la letteratura di interpretazioni simboliche ma insieme, e all'unisono, c'è l'artista che lascia scorrere l'andamento della narrazione, partecipe, prima ancora che artefice, dello stupore e dell'incanto con cui la leggeremo, lui per noi, noi con lui. Nel corso del tempo il suo prendere le distanze dal figurativo tradizionale, rispondente al vero, non lo porta tuttavia ad annullare il referente della figura umana che giunge a sintetizzare fino ad una riduzione talmente essenziale da apparire embrionale. Diviene iconografia duttile partecipando così alla giostra cromatica e dinamica della composizione, non necessariamente protagonista bensì irrinunciabile accento formale tale da muoversi in simbiosi col ritmo armonico che governa l'intera immagine; e nella danza di forme e colori l'artista ben presto stabilisce una inconfondibile mobile continuità fino a coinvolgere nel concetto di unicità la struttura portante del quadro espandendo la pittura oltre i confini della cornice. Ritmo e armonia si potrebbero dire i suoi “numeri-guida”, imprescindibili dalla sua modalità pittorica e sicuramente riconducibili alla connaturata simpatia per la musica che, coltivata da sempre con passione e conoscenza, diviene legame empatico. La tavolozza come spartito, su di essa ricerca e stabilisce quella speciale combinazione di assonanze che deriva dalle diverse vibrazioni di scale, toni, timbri, fino a raggiungere il desiderato equilibrio. Nei suoi racconti cromatici serpeggia un'idealità che potremmo leggere come stupore per la bellezza, quella bellezza che l'artista insegue da sempre e che si configura soprattutto nella luce e nell'unione, tali da poterli annoverare come leit-motiv, dando voce all'emozione che deriva dalla gioia piuttosto che all'esaltazione di fronte alla fugace felicità. Inseguire la bellezza non significa infatti che l'artista cerchi di rappresentarla, secondo canoni filosofici o concettuali, semmai il suo atteggiamento è quello di perseguire, nel comporre, attraverso i propri strumenti visivi, il raggiungimento di una comunione tra forma e contenuto capace di evocare una dimensione percettiva più sentimentale che fisica. Ed è appunto nel concetto di armonia che si svolge questo percorso creativo: nella continuità del movimento, serpeggiante fluido e antigravitazionale, delle forme, antropiche o altre, nella sequenzialità, talvolta simmetria, dei campi cromatici, nella sempre più spiccata propensione alla geometricità della costruzione spaziale dell'immagine. Altrettanto nelle tematiche, siano scaturenti dall'ascolto musicale o dal senso epifanico della natura, dalla suggestione di un concreto soggetto quanto dalla seduzione più astratta di un'idea, ricorre costante la sincronicità, nell'intreccio, l'abbraccio, l'incontro, il dialogo, il volo, come un inno all'unione, condivisione, e al tempo stesso alla libertà. Si intuisce in Ober una crescente propensione alla regola, nella più marcata “quadratura del cerchio”, nell'inclinazione a svolgere un ulteriore scatto di tensione al fluido concatenarsi di linee e forme, sempre, non dimentichiamo, scandite dal colore (in una gamma che non disdegna nouances né contrasti) dove è principe il blu e di seguito il giallo. Eppure ogni opera, intessuta attraverso una meticolosa trama prima progettuale e poi esecutiva, sortisce l'esito di una grande naturalezza, di un vortice d'energia che trascina dentro l'immagine a percorrere, forse parallelamente all'artista che l'ha concepita, un viaggio tra particelle materiche e incanti visivi, quasi stessimo osservando qualcosa in divenire. D'altra parte in ogni opera, di cui ormai è inconfondibile la cifra personale, si riflette l'intero cammino artistico, tracciato attraverso decenni di riflessione e sperimentazione, di ricerca ed evoluzione del linguaggio e della tecnica, sempre però capace di imprevedibili svolte e sapienti sorprese.

testo di

Roberta Fiorini

Firenze

2019

L'AVVENTURA E L'INTIMITA'

La pittura di Paolo Ober concentra tutta la sua attenzione sull’eterno ritorno del segno e sulla plasticità del disegno fino a concepire in infinite variazioni una sorta di forma e di visione per così dire creaturale. Della sua pittura si può parlare secondo diverse dimensioni, cosmica, fiabesca, emozionale, ma il nocciolo critico-analitico sembra ancora sfuggirci. Friedrich Nietzsche nel suo “Al di là del bene e del male” scrive: ”Che cosa scriviamo e dipingiamo noi, mandarini col pennello cinese, eternizzatori delle cose che si lasciano scrivere, che cosa soltanto siamo capaci di dipingere? Ahimè, sempre e soltanto quel che appunto vuole appassire e comincia a perdere la sua fragranza!” E Paolo Ober, consapevole di questa difficoltà strutturale dell’arte di afferrare la vita vera e pulsante, tormento stabile dell’arte e in particolar modo delle avanguardie del Novecento, parte proprio da questo ostacolo apparentemente insormontabile, per arrivare a costruire un sistema visionario che inventa una propria realtà, nella quale le infinite variazioni della decorazione contengono anche il passo dell’uomo, la sua sete di conoscenza e insieme la sua tenerezza. Possiamo dire che ci troviamo di fronte ad una pittura, profondamente figlia del suo tempo, legata ad una biografia ricca e polimorfa nella quale fotografia, videoarte e digital art si sono felicemente intrecciate e che è tutt’altro che digiuna delle sperimentazioni futuristiche importanti che segnarono anche il territorio trentino ( do you remember Fortunato?). Oggi si presenta come una pittura che ha trovato ormai da anni una sua originale cifra espressiva: seguendo il filo del pensiero di Nietzsche vuole dipingere non la realtà che si lascia dipingere, ma un mondo nuovo in bilico permanente tra l’astronave sognata da Jules Verne, l’intimità più segreta e infantile dell’amore, la gratuità totale di un abbraccio. All’origine del mondo come alla fine del mondo: dentro le immagini create da Paolo Ober ci sta l’inizio e la fine, il dipanarsi di una nuova, contemporanea mitologia, che finisce per coinvolgere il nostro sguardo, e, qui sta l’evento, immergerci in nuove storie e in nuove avventure della mente e del cuore, ahi, che parola maltrattata ed abusata, ma è ancora una volta quella giusta.

testo di

Mario Cossali

Trento

2016

(commento per la VIA CRUCIS esposta in Duomo)

Come cammei la luce del Cristo emerge dalla costellazione infinita del freddo azzurro, le figure circostanti esprimono agitazione, dolore, e follia di un momento sempre attuale, dove la ragione è perduta. Qualcuno reagisce dando aiuto,ma l'assistere ad una tragedia non risolve l'indifferenza dei più, in un tempo in cui la riflessione pare non esistere. Come tante fredde fiamme le figure contornano il calore del Salvatore e solo la Sua figura emerge come fonte di salvezza, anche quando l'anima sale al Padre. La ricomposizione del corpo verso la fine è luce di una nuova alba che promette la Vita Eterna.

testo di

Franco Lancetti

Trento

 

2016

SIMBOLOGIA COSMICA - (commento alla "Via Crucis")

Nelle opere di Paolo Ober, si denota una sua unica ed inimitabile personalità artistica. Sia sotto il profilo tecnico e base cromatica, i soggetti figurativi, stilizzati, assurgono ad una propria interpretazione simbolica. Lo sfondo in ogni opera da l’idea di come tali soggetti occupano la centralità e fuoriescano da un sistema sferico-cosmico costellato di bianche particelle volteggianti nel blu-azzurro spaziale Tecnicamente non ha niente a che fare con il puntinismo, bensì ad uno stile squisitamente contemporaneo e personalizzato, non assimilabile a precedenti riferimenti escludendo un termine frequentemente citato in altri artisti quale dejà-vu. Paolo in chiave artistica, avvolto in pensieri, meditazioni, nella costante ricerca d’ispirazioni, tenta di costruire, definire, dare un senso alla nostra presenza In questo magico globo chiamato: Mondo. (*)

(*) rif. bibliografico: Libro pubblicato nel 2015, autori: Karel Schriyver & Iris Schriyver dal titolo: LIVING WITH THE STARS

testo di

Iginio Depedri

Trento

2014

Bella questa ricerca! Artista introverso. Artista profondamente conoscitore delle tecniche e dei significati simbolici. Fine psicologo, osservatore delle sensazioni e dei momenti. Attento alle ultime tendenze ma distaccato. Amante delle sperimentazioni, sviluppa un certo futurismo della forma e della non forma. E in particolare, rimanendo concentrato sulla propria interiorità è aperto al nuovo e agli altri. Così è la sua arte. Un’arte interessante, un’arte anche decorativa nel senso elevante, non dispregiativo. Perché in questo caso c’è anche una ricerca di significati. La gioiosità e la malinconia, l’espansione e il ripiegamento, la riflessione, l’introspezione.

testo di

Roberta Mezzadra

Pavia

2014

L’opera di Paolo Ober è intrinsecamente psichedelica, opera con i colori in una dimensione prettamente emozionale dove semplici forme sembrano condurre a verità ancestrali, a archetipi radicati nelle profondità della psiche accessibili solo per mezzo di primordiali sensazioni estetiche. Sensazioni che fanno sperimentare una sorta di ritorno dopo un distacco, un oblio. Un risveglio della psiche, un ritorno all’infanzia.

testo di

Marco Cruciani

Pergine Valsugana (TN)

2013

Tra sogno e razionalità, rigore mentale e fantasia, si svolge l’affascinante narrazione figurativa del maestro Paolo Ober che svela nell’alchimia cromatica fra trapassi di luce l’astrazione del reale attraverso l’alchimia coloristica. Tra brillanti cromie nella simbologia della metamorfosi del reale la geometria di base diviene un viaggio utopico del pensiero di un’arte concettuale che ci trasporta mediante la dialettica della materia e della trasparenza in paesaggi cosmici e surreali.

testo di

Carla d'Aquino Mineo

Padova

2013

La condizione dell’Arte è una sola, proporre idee attraverso le opere, se poi le opere sono dipinti o sculture ecco che subentra la volontà di capire ciò che è scaturito dalle mani dell’autore. Spesso i percorsi sono impensabili, vanno dalle reminescenze giovanili, i ricordi, con le ore passate in luoghi ameni ormai vivi solo attraverso l’immissione degli stessi in oggetti o in tratti di pennello o sovrapposizioni di elementi, con o senza colore. La visione diretta delle opere alle volte sconcerta, ma entrando con pazienza in esse si trovano motivazioni storiche, oggetti di un recente passato che ricomposti muovono la fantasia dell’artista e stimolano la curiosità di chi le osserva. (...) La minuziosa elaborazione apparentemente semplice rapisce l’occhi nell’avvicinarsi alle opere di P. Ober, dove i contenuti a piccolissimi rilievi ritrovano le cose più dirette della formazione, dai semi ai pizzi alle profondità marine dove molluschi e meduse fluttuano nella trasparenza. Bellissime e tremende le gelatinose filanti striscie degli anemoni marini e i tappeti frammentati di superfici che al contraltare delle notti stellate splendono di tremolio vivacissimo. Le curve di questi spiritelli vagano da una superficie all’altra, e bene è vedere le elaborazioni filmate che corredano e completano la complessa, costante e raffinata produzione che sposa colore, movimento e successione delle idee in una continua ascesa.

testo di

Franco Lancetti

Pergine Valsugana (TN)

2010

Paolo Ober attraverso forme antropofomorfe dell’uomo e della natura, trasfigurate nel colore, con rilievi e spessori diversi, realizza un linguaggio moderno di comunicazione. Lo sviluppo plastico, accompagnato da un ritmo musicale, accresce un’energia vitale e una notevole forza fisica.

testo di

Lidia Mazzetto

Noale (VE)

2009

IL MONDO ONIRICO DI PAOLO OBER

L’espressionismo fantastico di Paolo Ober si estrinseca essenzialmente attraverso la trasfigurazione estetica dei personaggi antropomorfi, maschili e femminili, stilizzati. Questi “omini”, che trovano il loro motivo di essere in posizioni avvolgenti, quando si tratta di innamorati, realizzano una fusione formale fino a costituire nuove figure che, attraverso la semplificazione della forma e l’esaltazione del colore portano all’incandescenza la centralità dei personaggi. Il viluppo plastico di queste figure espande la sua energia vitale nello spazio circostante che, con accompagnamento ritmico, sviluppa una forza espansiva, mentre lo spazio fisico che le circonda ricorda ancora un mondo naturalistico ormai lontano. Dalla contrapposizione tra fisico-terreno e spirituale nasce la dialettica tra questi fenomeni opposti. Altre volte i personaggi entrano in rapporto dialettico ed empatia attraverso lo slancio vitale che le linee curve producono. Discorso pulito, senza orpelli, quello di Paolo Ober, che riesce a sublimare il fantastico attraverso la sintesi formale. Un’estrinsecazione estetica la sua che non teme di dichiarare modalità tecniche che si rifanno al divisionismo ed al puntinismo, nonché a certo simbolismo di fine ottocento o di Previati. Ma tutto questo egli riesce a fondere ed a sublimare in un nuovo universo, più fantastico, più colorato, più vivo. Un’utopia fantastica basata ancora sul rapporto dei complementari. Molto interessanti le modalità espressive di Paolo Ober quando riesce ad articolare ritmicamente il fondo ed il primo piano con elementi concreti geometrici che, oltre a sublimare la materia portandola ad ambiti metafisici che contribuiscono all’unità compositiva dell’opera. Le evoluzioni plastiche delle sue figure ci trasferiscono in un ambito favolistico in cui, come in un sogno, tutto diventa possibile. La semplificazione della forma e la sua trasformazione cromatica rendono di facile leggibilità le sue opere e per questo il suo messaggio, di un mondo colorato ed armonico, relativamente in pace, ci giunge rapido e convincente. La prevalenza di linee curve ammorbidisce la spigolosità della vita quotidiana creando effetti plastici di notevole valore estetico, riportandoci in un mondo onirico infantile che spesso abbiamo dimenticato. Questi suoi personaggi stilizzati ci presentano una possibilità di vita in un mondo costruito come ipotesi di felicità possibile, in cui l’uomo vive in armonia con la natura, con se stesso e con i suoi simili. I caratteri espressionistici del colore creano un’atmosfera di perfetta orchestrazione musicale in cui ogni elemento, sintonizzato con gli altri, contribuisce, arricchendola, alla grande coralità della natura.

testo di

Silvano Battistotti

Milano

2009

Una marcata simbologia caratterizza le opere di Paolo Ober. Figure stilizzate si muovono in uno spazio metafisico dominato dal silenzio. È uno spazio che va oltre il piano pittorico e si espande sulla cornice del quadro per dare una sensazione di continuità infinita. Anche i personaggi sembrano volere varcare i limiti fisici del dipinto con movimenti larghi e proiezioni vertiginose. L'effetto è quasi sempre monocromo ma, a ben guardare, il tono si afferma, un pò come nel puntinismo, per somma di tocchi minuti e variegati che si giustappongono a formare un'omogenea o degradante superficie cromatica ricca di profondità, sia di natura visiva sia di natura psicologica.

testo di

Franco Migliaccio

MIlano

2008

Lo conosco da molti anni. Parlare di lui non è facile anche perché è molto eclettico: per citare solo alcune delle sue attività artistiche dirò che dal disegno pubblicitario è passato alla fotografia, alla video-arte, continuando però a dipingere in un suo stile inconfondibile. Ogni tanto fa anche l’attore. Già da piccolo gli dicevano: “Scendi dal pero.”, intendendo con questo invito a fargli prendere contatto con la realtà di tutti i giorni, e a lasciare il mondo dei sogni. Credo che questa caratteristica lo invada ancora, perché si sente la fatica che fa a parlare di cose materiali. Non a realizzarle quando si tratta della sua pittura, costruisce da solo perfino le cornici. Paolo è quindi un sognatore, ma un sognatore che trae ispirazione sia dalla musica nella quale si immerge prima di creare, sia dalle emozioni che prova nelle piccole cose come nei grandi temi dell’esistenza sui quali continuamente si interroga, sia nei concetti che da tali situazioni emergono e che si estrinsecano poi nell’immagine che infine dipinge. Processo che comporta un lavorio interiore in parte inconscio, istintivo e in parte concettuale, nonché tecnologico in quanto è assolutamente padrone sia della tecnica pittorica sia della fotografia che del digitale. Non è facile perciò nemmeno caratterizzarlo anche solo come pittore (espone dal 1988) e ancor meno come uomo, pur essendo io psicologa. Ma perché? Perché la psicoanalisi, essendo un’arte anch’essa, può solo in parte afferrare il significato di simboli e concetti, se non equiparandola al sogno e come tale cercare di interpretare quanto l’artista vuol comunicare. O meglio, quando i dilemmi diventano immagine, possono venir accostati dalla parola e dall’interpretazione. Ma attenzione: in ogni opera d’arte c’è un bisogno di comunicare e un bisogno di celare, per cui mai quello che si vede è quello che si vuole vedere e tanto meno quello che l’artista vuol celare. Eppure tutto questo è appeso a un muro, come un pezzo di Anima, lacerata e ritrosa a manifestarsi, nella disperata ricerca di riempire un vuoto, il vuoto e nel contempo di comunicare la sua solitudine. Possiamo considerare Paolo sia astratto, sia figurativo: astratto perché in questo lavorio assurge infine all’idea, quindi opera un’astrazione, dove anche il colore (che pure indica la parte emozionale) è asservito ai contenuti che vuole esprimere; sia figurativo perché utilizza una forma quasi sempre in movimento, sia l’omino, (ma è un omino o è una via di mezzo tra l’uomo e l’angelo? Quelle braccia sembrano ali spiegate), sia il fiore, sia volumi geometrici… che sono comunque lontani da una realtà immediatamente percepibile in quanto rappresentano altro e quindi anche la figura diventa astrazione. Chiediamo a lui perché utilizza la pastina per minestra (anellini, stelline) o ancora perché dopo aver dipinto il quadro sente il bisogno di continuare nella cornice il suo tema, forse per una sensazione di non aver detto tutto o per unificare l’interno con l’esterno o ancora per delegare all’immagine ciò che la parola non riesce a dire? Perché si potrebbe definire l’arte come animata dal sogno di una trasgressione, dalla tensione a oltrepassare l’invalicabile barriera che condanna a non poter mai attingere i segni interni direttamente, privandoci di quella visione pura e totale che solo il linguaggio degli angeli possiede. In questa prospettiva, l’arte è ambizione di poter essere angeli in quanto in essa l’espressività dell’uomo sembra acquisire una capacità quasi angelica di lasciar trasparire se stessa, vale a dire il suo indicibile, inafferrabile e personale movimento interno.

testo di

Carla Corradi

Pergine Valsugana (TN)

2004

GIOIA NEL COLORE

La pittura di Paolo Ober sfrutta una struttura geometrica che non abbandona l’aspetto dinamico della linea. Quello che veramente colpisce il fruitore è la finezza del ritmo capace di creare figurazioni magiche nell’evolversi emozionale dell’opera. La cromia diventa un evento pittorico poichè si basa su accordi tonali i cui colori sono abbinati in una pastosa fusione del soggetto con l’atmosfera. La sua figurazione supera la realtà proponendo una narrazione estetica degli eventi che nasce da una felicità inventiva e da un’orchestrazione ricca di eleganza decorativa. Una tavolozza quella di Ober, che mediante un segno preciso modella soggetti interiorizzati nella mente del pittore e li fissa sul supporto materico arricchendolo di vitalità. Tutte le sue composizioni sembrano rinunciare alla pesantezza della sostanza per isolarsi in un ambiente solare ed incontaminato da qualunque elemento negativo. Immagini in cui emerge il sogno abbinato a riflessioni conscie che fanno emergere un desiderio di fuga dalla realtà e un bisogno di non confrontarsi con le brutture dell’esistenza. L’autore punta all’espressività del colore ma anche a un rigore matematico che implica una perfezione del tratto. Il progetto grafico fonde la maestria stilistica insieme alla sua sensibilità coloristica. Tutti i dipinti infondono serenità all’osservatore e gli danno la possibilità di essere introdotto nell’affascinante linguaggio della luce. E’ evidente una ricerca dell’armonia unita ad un dinamismo che coinvolge i personaggi: appare una visione realizzata su implulsi onirici ed estrema chiarezza visiva. L’impianto compositivo è calibrato: case, personaggi, animali, oggetti, mettono in scena bizzarre commedie in una rappresentazione da favola. Attraverso il gusto dello spettacolo e il senso della fantasia Ober intesse un colloquio con l’umanità che lo porta a riflettere sulle problematiche esistenziali. Una passione per il reale descritta come una fiaba senza drammi o affanni. L’artista predilige mettersi continuamente alla prova e sperimentare tecniche diverse nel suo modo di fare arte; infatti, in questa esposizione, presenta anche di video. Egli realizza immagini dove descrive una raffinata serie di giochi cromatici in cui toni forti, come il rosso, o riflessi abbaglianti, raccontano l’intrigante processo creativo che oggi si può attuare con il computer. E’ importante per il pittore, racchiudere nelle opere il senso poetico delle tinte focalizzando la sua attenzione pure sulla musica che accompagna la visione del video. In questo processo viene favorita l’idea più che il risultato; la creatività è comunque il motore di tutta questa versatile produzione pittorica.

testo di

Elena Gavazzi

Piacenza

2004

Le opere di Paolo Ober sono fiabesche. La linea che detta il ritmo delle visioni crea immagini luminose legate ai sogni, alle radici dell'uomo e della vita immaginata nella forma di una fonte magica.

testo di

Angelo Sblendore

Milano

2004

LA GIOIA NEL COLORE dei quadri di Ober: DA TEMATICHE MISTICHE ALL'ESTETICA PURA

L’arte moderna forse è in crisi ma non finisce mai di stupire perché, pur contestata, è anche creatività e manipolazione di un immenso patrimonio figurativo. Molti artisti, impossibilitati a continuare la tradizione, preferiscono esplorare nuovi campi. Questo è il caso di Paolo Ober che ci fa assistere ad un approccio artistico multidipliscinare, totalizzante, senz’altro eccentrico ma comunque seducente per intensità cromatica, varietà e visionarietà dei soggetti. Nelle sue ardite composizioni, Ober ben esemplifica un universo onirico, un naturalismo surreale e fantastico, un’ironia a tratti inquietante nonostante la vivacità coloristica e l’impostazione pacata e suadente. Grafico, disegnatore, fotografo, coraggioso sperimentatore non solo pratico – stili e metodi orientali e “bizantini”, texture, accorgimenti materici e narrativi – ma anche teorico – associazionismo musicale, suggestioni fisiologiche e percettive da psicologia gestalgica – Ober persegue ambiziosi programmi iconografici a mezzo tra viaggio nel subconscio e strana ma accattivante coesistenza di sogno e realtà. Per esempio le sue proiezioni di fotografie in dissolvenza introducono un’assoluta artificialità: aspetti un un reale programmaticamente stravolto che possono, però, celare inedite virtualità spaziali, un pittoresco senso del colore e del movimento accentuati da un brillante sottofondo musicale. Con straordinaria naturalezza riesce, poi, in estrema riduzione formale e calligrafico descrittivismo, a trasfigurare poeticamente spunti concreti privilegiando via via simbolismo (Lo gnomo, Concetto verticale) misticismo (Campo Magnetico, L’entusiasmo e la verità, Essere celeste), un panteismo magico ed avvolgente (Fonte magica, Al ruscello, Le nostre radici, Nuova vita). Immagini smaltate in assoluta perfezione formale con colori che, variamente ma delicatamente, sfumano nell’opposto o nel tono contiguo più o meno acceso e soggetti a volte incomprensibili per guizzante metaformismo tendono ad una mitica ricongiunzione con la natura e dimostrano come Ober ricerchi anche un puro spettacolo (Sulla vetta). Di più: un godimento estetico, una soddisfazione sensoriale riuscendo, velatamente, a caricare le singole opere anche di significati reconditi tutti, però, più o meno riconducibili al tentativo di dare continuità all’esperienza umana (Punti di vista, Doppio sogno, In giardino, Quattro amici al bar), unificare sensazioni uditive, tattili e visive dell’individuo nel continuum spazio-temporale. Quello che ha realizzato poi nel campo della video-art, tanto scoppiettante quanto rutilante dimostra, ancora una volta, l’abilità tecnica di Ober. Aeropitture futuriste, moderna cosmogonia, ma anche solitudini metafisiche ed esistenziali che trovano compiuta realizzazione in un clima di allegoria ed apologo morale sull’inconsistenza di grandi ideali e di tanto celebrati miti della storia dell’umanità.

testo di

Fabio Bianchi

Piacenza

2004

Quelle di Paolo Ober sono opere euforizzanti, che esplicitamente cercano di sfrondare la negatività dalla realtà delle cose. Invece di puntare l’attenzione alla sovrabbondanza di negatività, alla quantità di eventi sfavorevoli e tristi che tutti noi subiamo, cercano di vedere cosa rimane dopo un minuzioso lavoro di ritaglio e di pulizia impostato con pensiero positivo. Io la definirei ricerca di eudinamica (dal greco eu , bello, buono), poiché è un’operazione in cui si cerca punto per punto tutte le assonanze che esprimono una gioia di vivere. E si vorrebbe che questa gioia fosse collettiva, coinvolgendo anche chi guarda queste opere, portandolo a riconoscersi in uno stato di euforia. Anche la scelta di presentare in questo contesto delle opere verticali, più che un caso dipendente dal poco spazio, si appropria anche di quel linguaggio visivo che nella verticalità vede nessi simbolici con la spiritualità, la trascendenza, la levitazione.

testo di

Ruggero Sicurelli

Treviso

2004

Ha raggiunto una espressività molto stimolante dove il mondo dei colori e delle forme è visto e vissuto in tutta la sua globalità. Il suo è un mondo fiabesco, animato da linee che creano immagini, sogni, visioni magiche. Un sogno mantenuto vivo per difendersi dalla dura realtà contemporanea

testo di

Antonella Raimondo

Treviso

2003

Pittura di altissimo livello e soprattutto pittura onirica, siamo nel mondo dell’utopia nel mondo dei sogni, nel mondo in cui vivono gli artisti. C’è una libertà ed una fantasia che esplode come un’esplosione di gioia. C’è un bambino dentro di lui, e ci sarà sempre anche quando avrà la barba bianca. E lui avrà sempre voglia di dipingere così. Per darci un messaggio di gioia, di purezza, di pace. Siamo affascinati sinceramente, attratti, presi da queste opere che ci assorbono. E vorremmo quasi tuffarci dentro, per poter nuotare anche noi in questi colori, in questa musica, perché questa è una pittura musicale e passare il resto della nostra vita là invece che qua.

testo di

Giorgio Pilla

Venezia

2003

Paolo Ober? Beh! Qui naturalmente siamo in una dimensione modernista, tecnologica dell’arte. Fotografo oltre che pittore, ed immagino che lavori anche al computer, è chiaro che il riferimento non può andare che ad un artista della generazione precedente e suo conterraneo: Depero. Il quale improvvisamente, in questa terra che non era abituata al futurismo ma semmai ai paesaggi di Moggioli, inventa queste fughe di colore, di spazi, di luce. Delle fughe che rientrano certamente nel mondo del futurismo ma che anticipano pure un certo mondo tecnologico. E qui passando da Depero a Ober ed alla sua pittura bidimensionale, così precisa con linee che cercano di fuggire. Cerca di coniugare quello che è il senso di una pittura intesa come lievito di fantasia, con un gusto attuale, non vorrei dire ancora tecnologico, ma certo un gusto di un uomo che fa parte del nostro tempo. Che magari batte il tamburello per richiamare a raccolta tutti i giovani in una sorta di grande festa. E’ la danza che fu dei futuristi, di Severini e altri grandi artisti, ma che si rinnova in un modo diverso. Il modo del nostro tempo, di un mondo giovane a cui Paolo Ober appartiene.

testo di

Paolo Rizzi

Venezia

1999

Paolo Ober propone lavori impostati sull'uso energico dei colori. La luce ritorna finalmente esplosiva ed illumina puntigliosamente ogni situazione straziante per riportarvi una diversa ed ostinata visione gioiosa, che pare a tratti attirata da tentazioni new age. Il disegno, reso essenziale, diventa ora l'improbabile proposta fiabesca di una situazione impossibile, ora mero supporto per il gioco dei colori. Lo scherzo dei contrasti e dei legami cromatici trabocca spesso su superfici sfalsate e sovrapposte, sfruttando varie situazioni volumetriche. Nell'ebbrezza fantastica di queste composizioni, soltanto alla fine s'intravvedono i piani sovrappopolati di figure irrequiete, doloranti, addensate ed aggrovigliate nel loro mondo angusto.

testo di

Fiorenzo Degasperi

Trento

1999

COLORATO GIROTONDO VITALE

Le sue inconfondibili figure antropomorfe tendono le loro appendici di plastelina colorata per condurci in quella sorta di dimensione parallela e fantastica che ci attende come dietro allo specchio di alice. (…) Sono omini semplificati, con un tondo al posto della testa e corpi nastriformi elastici e sinuosi. In realtà la semplificazione è solo apparente, si tratta piuttosto della volontà di rendere queste figure il più universali possibile e il più possibile affini alla materia onirica dei suoi racconti. Le opere di Ober nascono da una lunga elaborazione ideativa e grafica e seguono una loro evoluzione che dalla metà degli anni ’80 le ha portate sempre più lontane dalla figurazione tradizionale verso quello che altrove è stato efficacemente definito “un mix di sogno e realtà” (A. Spagnesi, Firenze 1995), senza per questo rinunciare alla ricchezza di particolari ed alla complessità di una tessitura pittorica certosina. In un mondo siffatto, dove le emozioni non possono essere affidate all’espressione dei volti o alla mimesi comunemente intesa, l’impatto cromatico gioca il ruolo decisivo nella seduzione esercitata dalle tele di Ober: sono colori forti ed artificiali, usati volutamente puri per sottolinearne i contrasti. Il colore riempie lo spazio inconsistente in cui galleggiano figure, brani di archittetture o di natura, ed è un colore che si fa a volte materia, mescolandosi con la sabbia, la iuta e la pasta. Lo spazio/colore tende a travalicare i confini della tela, invade la cornice e sembrerebbe voler andare ancora oltre, inseguendo la luce che si irradia dal centro verso l’esterno, esplosa in migliaia di piccole pennellate. Questo frazionamento del colore e la forza centrifuga della luce fanno sì che la plasticità di corpi e oggetti, seppur evidente e insistita, sembri dissolversi in virgole luminose e metterne in dubbio la consistenza, rilevando la loro natura di sogno. Da alcuni anni anche la cornice è coinvolta in queste esplorazioni cromatiche e diventa essa stessa superfice pittorica, sempre più spesso modulata su più piani e sagomata in forme inattese o funzionali al racconto. Le figure sono in continuo movimento in questo spazio luminoso, un movimento mai anarchico o casuale, ma sempre sotteso ad una simmetria compositiva che preferisce di gran lunga il ritmo musicale alle rigide leggi fisiche, nel nome di una regolarità matematica che non si avverte nel prodotto finito. E così molti dei racconti visivi di Paolo Ober hanno un sottofondo sonoro: In-Canto, Blues, Echi, Voce notturna Altri titoli evocano invece momenti di introspezione, legati a sensazioni o accadimenti personali, ma che sono anche tappe di un vissuto comune. Sono quadri dove il movimento della composizione segue un ritmo spiraliforme regolato da un moto rotante e ascendente che esprime graficamente uno sforzo tortuoso verso la libertà e la spiritualità. In quest’ottica un’opera come Nuovo programma si può quindi considerare un vero e proprio manifesto artistico: rappresenta una sorta di schermo televisivo minito di tre manopole indicanti i canali musica, colore, e libertà, capisaldi della poetica di Ober. Se dovessimo risalire alla, o meglio alle paternità artistiche di Ober, l’elenco sarebbe lungo e riunirebbe stili anche lontani cronologicamente e diversissimi fra loro, ma quello che conta è che questo sincretismo ci venga restituito in forme rinnovate e sostanzialmente personali. Quello che ne risulta è una razionalità geometrica piegata all’irrazionalità del sogno, una materia che si smaterializza nella musica e nella luce, un’arte che non vuol essere né criptica né inquetante, ma semmai evocativa di un mondo immaginifico capace di coinvolgerci tutti nel suo colorato girotondo vitale.

testo di

Elisa Aneggi

Trento

1999

Paolo Ober si aggira tra le manifestazioni della realtà trasfigurandola con la sua “bacchetta magica” in forme fantastiche, che sembrano prodotte da un mito sognato di giorno e ogni notte perduto, ritrovato sempre miracolosamente nella pittura.

testo di

Mario Cossali

Callian du Var
(Francia)

1999

Un surrealismo decisamente gioioso è quello delle tele di Paolo Ober, nelle quali il colore, usato il più possibile puro per sottolineare i contrasti, accompagna linee d’energia e figure sospese nello spazio quasi danzando al ritmo di una musica interiore.

testo di

Elisa Aneggi

Trento

1997

COLORI IN GIOCO

Se Paolo Ober non si accontenta di rappresentare l'informe e di esprimere l'incosciente, ma intende dare forma all'informe e sostanza all'inconsistente, esempio felice di questa volontà formativa sono i suoi recenti lavori pittorici, nei quali il gusto per le associazioni folgoranti, le deformazioni oniriche e le scenografie iperreali è saldamente sorretto da una qualità inventiva, da una mano duttile, precisa e sorprendente. Capace del grottesco e dell'inquietudine, di ironia e sommesso pensiero, Ober riesce a fare partecipi di quel magico stupore che sanno suscitare le figure e gli oggetti che sembrano venire incontro da un altro mondo, con pochi e forti tocchi distratti e insieme pronti a lanciarsi in divagazioni cromatiche imprevedibili, a partire da qualsiasi pretesto. Combinazione di timbri e registri, tra sonorità solare e gioiosa o melanconica e meditativa, la sua pittura - un itinerario, un deposito di immagini, un catalogo di simboli, un collage di sogni, paesaggi, interni, appunti di favole e fantasticherie, accesi, tutti, da una fosforescenza che sa di visione, aneddoto e mistificazione - è un'avventura trascinante, nella quale una pellicola di visioni sorprendenti e di metafore spinte fino ai confini dell'immaginazione, cattura e deforma nelle trappole dello sguardo e della memoria, situazioni improbabili e dimore inverosimili. Provocazione e comicità, camuffate nella finzione mitico scenico narrativa, animano i segreti pittorici, buttati a piene mani, con la convinzione di solidificare plasticamente storie difficili e accidentate, argomentate con vigore e necessità di sottoporre il reale all'apparenza di un virtuale figurare colorato, dentro la cornice acrobatica di una pièce incantata, grottesco metafisica, che sa percepire mito, fantasia e gioco senza diminuirli. Il suo modo di raccogliere i frammenti più vari del reale e dell'immaginario, entro una formulazione unificante di qualità tattili e visive, trova piena e coerente condensazione nelle tematiche e negli strumenti. La ribadita intenzionalità narrativa dedita allo sviluppo delle trame in un fraseggio sinuoso e alternato, cerca e trova una propria organizzazione, anche quando fondata su caotiche discontinuità. La proposta visiva alterna, tra inclementi fantasmi e sbilanciate prospettive oniriche ed emblematiche, piani gremiti ad altri che contengono solo uno o due particolari. Un'istanza è riferita al segno e un'altra è tesa ad affermare il colore: entrambe obbediscono interamente ad una disciplina che rende limpida la materia pittorica mentre viene conclamato un geometrismo che non concede eccezioni; al di là dei frantumi o della corposità coloristica di un sotteso surrealismo, appaiono echi derivanti dall'art nouveau, dalla pop art, si salutano Kandinskij e Chagall, e viene riverito imprescindibilmente Savinio. L'umanità, la quotidianità, gli interni, gli oggetti sono elementi, nei quali la poetica di Paolo Ober si rende riconoscibile: ansie ottagonali e cubici tremori solidificano quell'inconscio nel quale coesistono tutte le date, le epoche, i prima e i dopo, e cedono volentieri alla tentazione mobile, instabile e fluida di essere avventura e di alludere sempre al contrastato rapporto con l'avventura, pura elaborazione concettuale o suadente precisione coloristica che sia. Nella sua pittura, teatro del contemporaneo e della visione, qualche elemento inusuale o abnorme o imprevisto si insinua, stravolge e spezza momenti e segmenti canonici della realtà raffigurata, sconvolge l'ordine dei segni, generando l'enigma e il mistero. Nell'evenienza dell'arte fantastica, il caso e l'ambiguità sono allegorie indecifrabili ma l'immagine può essere disvelata; la chiarificazione è nel ricorso alle idee svolte in ogni figurazione, specchio coperto di vita e fantasia.

testo di

Elisabetta Rizzioli

Rovereto (TN)

1996

Paolo ober ci introduce in un mondo pittorico silenzioso dominato dalla rotondità della forma intesa come chiave d’interpretazione della vita e dello spazio.

testo di

Mario Cossali

Isera (TN)

1996

UN MIX DI SOGNO E REALTÀ

La sintesi visiva di Paolo Ober trova nella figuretta dell'uomo la sua più efficace espressione, un ovoide o una sfera per testa, arti superiori e inferiori in cui sono fusi mani e piedi, un corpo duttile che può allungarsi ed accorciarsi a suo piacimento secondo i dettami di una fervida immaginazione fresca di invenzioni da terzo millennio eppure ricchissime di connessioni con auliche preziosità medioevali e bizantine. Dosando con grande maestria la sua vivacità ludica, Ober muove il suo "uomo" in uno scenario incantato ove i colori sono accesi e luminescenti come quelli impiegati dalla "video-grafica": la "figuretta" si moltiplica e galleggia in uno spazio alieno ed improbabile contorcendosi come quella di un "cartoon" televisivo. Se "l'omino radioattivo" di Keith Haring recuperava la pregnanza espressiva del graffitismo "pop" ed anonimo dell'America contemporanea, la figura umana di Ober subisce l'influsso dell'immagine creata al computer per la TV e si "disumanizza" entro una dimensione virtuale che gli si offre come paradiso protetto ma che può anche divenire un inferno della mente. Rischi e vantaggi offerti all'uomo d'oggi si mischiano come le carte da gioco in questa pittura sofisticata e gravida di messaggi: un mix di sogno e realtà.

testo di

Alvaro Spagnesi

Firenze

 

1995

Paolo Ober appare come un gran sognatore, un “viaggiatore” del pensiero, che ama raccontare i propri fantastici deliri attraverso un linguaggio figurale giocato sull’assemblaggio d’immagini e sulla diversificazione dei materiali.

testo di

Bruno Pollacci

Pisa

1995

Paolo Ober esprime le proprie idee in una sintesi di pochi elementi fluttuanti senza gravità in uno spazio spinto quasi alla soglia dell’astrazione, dove la narrazione delle situazioni reali, delle emozioni, delle aspirazioni, viene rivista con uno spirito teso a trasfigurare giocosamente i turbamenti in forme e colori gioiosi e musicali.

testo di

Gino Micheli

Trento

1994

MOTIVI PITTORICI

L'atmosfera magica evocata dai colori innaturali, la preziosità da mosaico che in certi lavori si ricava dall'effetto dei pigmenti su superfici polimateriche, sono sensazioni che trasmigrano dalla pittura di Paolo Ober al suo segno grafico, senza impoverirsi nell'assenza cromatica. Anzi, è interessante vedere come, già nell'acromia del disegno riesca a suscitare con poche linee e semplici soluzioni di suggestione volumetrica, una dimensione scenografica dello spazio. Nel suo alfabeto figurativo, che scandisce una sorta di ingenuità surreale, tutto è rapportato all'estrema sintesi geometrica e però le forme, così rese essenziali, della natura come dell'umano, perdono nel suo fare ogni rigidezza, tale che figure come il cono, la sfera, il cubo, il cilindro, assumono forme mobili, seducenti per quel loro ininterrotto fluttuare nello spazio. Emana da queste sue pagine, tanto nella trasposizione grafica che pittorica, una inconfondibile musicalità. Le figure danzano e si compongono nella scena in virtù della continuità del segno che le muove secondo un ritmo. L'elementarietà formale che Ober sceglie quale medium visivo è però specchio di una complessa messe di "informazioni", poichè in realtà questi suoi racconti per immagini ci appaiono dotati di qualità anche sonore e tattili e narrative; allora la veste grafica e pittorica rappresentano la sintesi privilegiata, il contenitore di un bagaglio ricco di emozioni, memorie, desideri e disillusioni, quel "Carro Quotidiano" (che ricorre nei suoi titoli) con cui dobbiamo sempre confrontarci. Ober ce ne offre una visione poetica e quasi favolistica ma non certo "naif". D'altra parte, inutilmente tenteremo di ascrivere tale esperienza nella scia di una scuola, stilistica o di pensiero, poichè è indubbio che certe lezioni storiche dell'arte contemporanea (pensiamo tra le altre a Kandinsky e a Chagall) siano di conforto e tuttavia, primariamente, l'autore ci indica, in specie attraverso le più recenti prove del suo percorso, una via sinceramente ed efficacemente autonoma.

testo di

Roberta Fiorini

Firenze