2023 |
La prima parola che viene in mente è complessità. Nel significato etimologico del termine. Ovvero intrecciare, tessere insieme. Non solo perché di fatto le forme che dialogano all’interno delle opere sembrano sempre intrecciarsi come in una sorta di abbraccio corale. C’è questo senso di coralità nei suoi lavori. Ma anche perché la complessità è una accezione di concetto, ovvero di suggestioni diverse che convivono all’interno dell’opera. La pittura è un condensato di tante passioni, conoscenze, ricerche che Paolo ha fatto nel corso degli anni. Che vanno dall’arte multimediale, alla grafica, alla sua passione sconfinata per la musica, che lo porta poi anche ad avere una profonda conoscenza di questo linguaggio. Ed in maniera così sincretistica lui tiene insieme queste anime diverse all’interno della sua pittura. Pittura in cui, ritornando alla rilevanza del colore, Paolo ci ricorda che il colore è luce. Che si dipinge con la luce. Ci può sembrare banale dirlo ma in realtà spesso colore e luce sono identificati come valori espressivi di valore diverso, in pittura. In realtà non è così. Paolo sa bene che quello che cerca è la vibrazione luminosa nel colore. E perché cerca la luce? Perché la luce è energia, un’energia cosmica, un’energia che si irradia nello spazio dei suoi lavori. È un’energia che attraversa le cose e le trasforma visivamente. Che crea appunto questo senso di movimento continuo. Tutto si muove, tutto è un vortice, tutto è dinamico, tutto è estremamente vitale nei suoi lavori. A questo si aggiunge poi una ricerca che lui continua a fare sui simboli. Alcune opere, se fossero messe insieme, potrebbero essere un manuale di simboli che vanno dalla cultura celtica a quella alchemica, simboli che ovviamente lui ha elaborato nel corso degli anni creando una sorta di codice criptico. Guardando questi quadri mi viene in mente che si potrebbe definirli dei mondi quantici, pensando a quello che oggi dice la teoria quantistica, ovvero all’idea di uno spazio in cui non c’è distanza tra le cose, all’idea di uno spazio percorso dall’energia che accomuna tutti, che abbraccia tutti. Ecco quindi di nuovo questo senso di empatia tra le cose, di fusione tra cose, che nei suoi lavori è uno degli aspetti più rilevanti. |
testo di Daniela |
Roverè della Luna |
2023 | ![]() |
testo di |
Noale |
2023 |
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testo di Alberto Sighele |
Rovereto |
2021 |
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testo di Fiorenzo Degasperi |
Trento |
2019 |
Il clima fantastico della pittura di Paolo Ober viene spesso interpretato come onirico... corpi incorporei, figure irreali e danzanti nello spazio, spazio di pura invenzione, eppure questa viosIonarietà non appartiene al sogno così le sue composizioni, le sue immagini, non sono derivate dai fantasmi e dalle connessioni assurde dell'inconscio anzi, al contario, sono il risultato di una sintesi formale ed espressiva che l'artista ha coltivato, nutrito, arricchito, nel corso di una vita, l'età della sua vita con l'arte, che ben presto ha scelto di abbandonare la riproduzione della realtà per percorrere un viaggio tanto più libero quanto più impegnativo. In viaggio con se stesso, attraversando emozioni e sentimenti, incontri e fascinazioni diverse nelle quali si intessono e si fondono passione e spiritualità; concretezza della materia ed illusione, o anelito, di leggerezza. Una via intrapresa con la preoccupazione, in primis, non del gradimento estetico o della comprensione “degli” altri ma del riconoscersi, e poi del desiderio di comunicarlo e condividerlo “con” gli altri. La sua ricerca espressiva - sempre in progress, soprattutto nel confrontarsi con la materia pittorica, anzi i materiali che possono dialogare con la pittura - costantemente aperta e disponibile alle contaminazioni più desuete, potremmo collocarla in una dimensione sospesa tra scienza e magia, (chissà forse le sue due intime nature)! Si perché da una parte c'è l'artista che sperimenta, come un alchimista, la compatibilità tra gli elementi (canonici e no, nei suoi lavori interagiscono spesso anche ingredienti alieni alla pratica pittorica...), e che studia l'equilibrio ottico delle combinazioni dei colori e la letteratura di interpretazioni simboliche ma insieme, e all'unisono, c'è l'artista che lascia scorrere l'andamento della narrazione, partecipe, prima ancora che artefice, dello stupore e dell'incanto con cui la leggeremo, lui per noi, noi con lui. Nel corso del tempo il suo prendere le distanze dal figurativo tradizionale, rispondente al vero, non lo porta tuttavia ad annullare il referente della figura umana che giunge a sintetizzare fino ad una riduzione talmente essenziale da apparire embrionale. Diviene iconografia duttile partecipando così alla giostra cromatica e dinamica della composizione, non necessariamente protagonista bensì irrinunciabile accento formale tale da muoversi in simbiosi col ritmo armonico che governa l'intera immagine; e nella danza di forme e colori l'artista ben presto stabilisce una inconfondibile mobile continuità fino a coinvolgere nel concetto di unicità la struttura portante del quadro espandendo la pittura oltre i confini della cornice. Ritmo e armonia si potrebbero dire i suoi “numeri-guida”, imprescindibili dalla sua modalità pittorica e sicuramente riconducibili alla connaturata simpatia per la musica che, coltivata da sempre con passione e conoscenza, diviene legame empatico. La tavolozza come spartito, su di essa ricerca e stabilisce quella speciale combinazione di assonanze che deriva dalle diverse vibrazioni di scale, toni, timbri, fino a raggiungere il desiderato equilibrio. Nei suoi racconti cromatici serpeggia un'idealità che potremmo leggere come stupore per la bellezza, quella bellezza che l'artista insegue da sempre e che si configura soprattutto nella luce e nell'unione, tali da poterli annoverare come leit-motiv, dando voce all'emozione che deriva dalla gioia piuttosto che all'esaltazione di fronte alla fugace felicità. Inseguire la bellezza non significa infatti che l'artista cerchi di rappresentarla, secondo canoni filosofici o concettuali, semmai il suo atteggiamento è quello di perseguire, nel comporre, attraverso i propri strumenti visivi, il raggiungimento di una comunione tra forma e contenuto capace di evocare una dimensione percettiva più sentimentale che fisica. Ed è appunto nel concetto di armonia che si svolge questo percorso creativo: nella continuità del movimento, serpeggiante fluido e antigravitazionale, delle forme, antropiche o altre, nella sequenzialità, talvolta simmetria, dei campi cromatici, nella sempre più spiccata propensione alla geometricità della costruzione spaziale dell'immagine. Altrettanto nelle tematiche, siano scaturenti dall'ascolto musicale o dal senso epifanico della natura, dalla suggestione di un concreto soggetto quanto dalla seduzione più astratta di un'idea, ricorre costante la sincronicità, nell'intreccio, l'abbraccio, l'incontro, il dialogo, il volo, come un inno all'unione, condivisione, e al tempo stesso alla libertà. Si intuisce in Ober una crescente propensione alla regola, nella più marcata “quadratura del cerchio”, nell'inclinazione a svolgere un ulteriore scatto di tensione al fluido concatenarsi di linee e forme, sempre, non dimentichiamo, scandite dal colore (in una gamma che non disdegna nouances né contrasti) dove è principe il blu e di seguito il giallo. Eppure ogni opera, intessuta attraverso una meticolosa trama prima progettuale e poi esecutiva, sortisce l'esito di una grande naturalezza, di un vortice d'energia che trascina dentro l'immagine a percorrere, forse parallelamente all'artista che l'ha concepita, un viaggio tra particelle materiche e incanti visivi, quasi stessimo osservando qualcosa in divenire. D'altra parte in ogni opera, di cui ormai è inconfondibile la cifra personale, si riflette l'intero cammino artistico, tracciato attraverso decenni di riflessione e sperimentazione, di ricerca ed evoluzione del linguaggio e della tecnica, sempre però capace di imprevedibili svolte e sapienti sorprese. |
testo di Roberta Fiorini |
Firenze |
2019 |
La pittura di Paolo Ober concentra tutta la sua attenzione sull’eterno ritorno del segno e sulla plasticità del disegno fino a concepire in infinite variazioni una sorta di forma e di visione per così dire creaturale. Della sua pittura si può parlare secondo diverse dimensioni, cosmica, fiabesca, emozionale, ma il nocciolo critico-analitico sembra ancora sfuggirci. Friedrich Nietzsche nel suo “Al di là del bene e del male” scrive: ”Che cosa scriviamo e dipingiamo noi, mandarini col pennello cinese, eternizzatori delle cose che si lasciano scrivere, che cosa soltanto siamo capaci di dipingere? Ahimè, sempre e soltanto quel che appunto vuole appassire e comincia a perdere la sua fragranza!” E Paolo Ober, consapevole di questa difficoltà strutturale dell’arte di afferrare la vita vera e pulsante, tormento stabile dell’arte e in particolar modo delle avanguardie del Novecento, parte proprio da questo ostacolo apparentemente insormontabile, per arrivare a costruire un sistema visionario che inventa una propria realtà, nella quale le infinite variazioni della decorazione contengono anche il passo dell’uomo, la sua sete di conoscenza e insieme la sua tenerezza. Possiamo dire che ci troviamo di fronte ad una pittura, profondamente figlia del suo tempo, legata ad una biografia ricca e polimorfa nella quale fotografia, videoarte e digital art si sono felicemente intrecciate e che è tutt’altro che digiuna delle sperimentazioni futuristiche importanti che segnarono anche il territorio trentino ( do you remember Fortunato?). Oggi si presenta come una pittura che ha trovato ormai da anni una sua originale cifra espressiva: seguendo il filo del pensiero di Nietzsche vuole dipingere non la realtà che si lascia dipingere, ma un mondo nuovo in bilico permanente tra l’astronave sognata da Jules Verne, l’intimità più segreta e infantile dell’amore, la gratuità totale di un abbraccio. All’origine del mondo come alla fine del mondo: dentro le immagini create da Paolo Ober ci sta l’inizio e la fine, il dipanarsi di una nuova, contemporanea mitologia, che finisce per coinvolgere il nostro sguardo, e, qui sta l’evento, immergerci in nuove storie e in nuove avventure della mente e del cuore, ahi, che parola maltrattata ed abusata, ma è ancora una volta quella giusta. |
testo di Mario Cossali |
Trento |
2016 |
Come cammei la luce del Cristo emerge dalla costellazione infinita del freddo azzurro, le figure circostanti esprimono agitazione, dolore, e follia di un momento sempre attuale, dove la ragione è perduta. Qualcuno reagisce dando aiuto,ma l'assistere ad una tragedia non risolve l'indifferenza dei più, in un tempo in cui la riflessione pare non esistere. Come tante fredde fiamme le figure contornano il calore del Salvatore e solo la Sua figura emerge come fonte di salvezza, anche quando l'anima sale al Padre. La ricomposizione del corpo verso la fine è luce di una nuova alba che promette la Vita Eterna. |
testo di Franco Lancetti |
Trento
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2016 |
Nelle opere di Paolo Ober, si denota una sua unica ed inimitabile personalità artistica. Sia sotto il profilo tecnico e base cromatica, i soggetti figurativi, stilizzati, assurgono ad una propria interpretazione simbolica. Lo sfondo in ogni opera da l’idea di come tali soggetti occupano la centralità e fuoriescano da un sistema sferico-cosmico costellato di bianche particelle volteggianti nel blu-azzurro spaziale Tecnicamente non ha niente a che fare con il puntinismo, bensì ad uno stile squisitamente contemporaneo e personalizzato, non assimilabile a precedenti riferimenti escludendo un termine frequentemente citato in altri artisti quale dejà-vu. Paolo in chiave artistica, avvolto in pensieri, meditazioni, nella costante ricerca d’ispirazioni, tenta di costruire, definire, dare un senso alla nostra presenza In questo magico globo chiamato: Mondo. (*) (*) rif. bibliografico: Libro pubblicato nel 2015, autori: Karel Schriyver & Iris Schriyver dal titolo: LIVING WITH THE STARS |
testo di Iginio Depedri |
Trento |
2014 |
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testo di Roberta Mezzadra |
Pavia |
2014 |
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testo di Marco Cruciani |
Pergine Valsugana (TN) |
2013 |
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testo di Carla d'Aquino Mineo |
Padova |
2013 |
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testo di Franco Lancetti |
Pergine Valsugana (TN) |
2010 |
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testo di Lidia Mazzetto |
Noale (VE) |
2009 |
L’espressionismo fantastico di Paolo Ober si estrinseca essenzialmente attraverso la trasfigurazione estetica dei personaggi antropomorfi, maschili e femminili, stilizzati. Questi “omini”, che trovano il loro motivo di essere in posizioni avvolgenti, quando si tratta di innamorati, realizzano una fusione formale fino a costituire nuove figure che, attraverso la semplificazione della forma e l’esaltazione del colore portano all’incandescenza la centralità dei personaggi. Il viluppo plastico di queste figure espande la sua energia vitale nello spazio circostante che, con accompagnamento ritmico, sviluppa una forza espansiva, mentre lo spazio fisico che le circonda ricorda ancora un mondo naturalistico ormai lontano. Dalla contrapposizione tra fisico-terreno e spirituale nasce la dialettica tra questi fenomeni opposti. Altre volte i personaggi entrano in rapporto dialettico ed empatia attraverso lo slancio vitale che le linee curve producono. Discorso pulito, senza orpelli, quello di Paolo Ober, che riesce a sublimare il fantastico attraverso la sintesi formale. Un’estrinsecazione estetica la sua che non teme di dichiarare modalità tecniche che si rifanno al divisionismo ed al puntinismo, nonché a certo simbolismo di fine ottocento o di Previati. Ma tutto questo egli riesce a fondere ed a sublimare in un nuovo universo, più fantastico, più colorato, più vivo. Un’utopia fantastica basata ancora sul rapporto dei complementari. Molto interessanti le modalità espressive di Paolo Ober quando riesce ad articolare ritmicamente il fondo ed il primo piano con elementi concreti geometrici che, oltre a sublimare la materia portandola ad ambiti metafisici che contribuiscono all’unità compositiva dell’opera. Le evoluzioni plastiche delle sue figure ci trasferiscono in un ambito favolistico in cui, come in un sogno, tutto diventa possibile. La semplificazione della forma e la sua trasformazione cromatica rendono di facile leggibilità le sue opere e per questo il suo messaggio, di un mondo colorato ed armonico, relativamente in pace, ci giunge rapido e convincente. La prevalenza di linee curve ammorbidisce la spigolosità della vita quotidiana creando effetti plastici di notevole valore estetico, riportandoci in un mondo onirico infantile che spesso abbiamo dimenticato. Questi suoi personaggi stilizzati ci presentano una possibilità di vita in un mondo costruito come ipotesi di felicità possibile, in cui l’uomo vive in armonia con la natura, con se stesso e con i suoi simili. I caratteri espressionistici del colore creano un’atmosfera di perfetta orchestrazione musicale in cui ogni elemento, sintonizzato con gli altri, contribuisce, arricchendola, alla grande coralità della natura. |
testo di Silvano Battistotti |
Milano |
2009 |
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testo di Franco Migliaccio |
MIlano |
2008 |
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testo di Carla Corradi |
Pergine Valsugana (TN) |
2004 |
La pittura di Paolo Ober sfrutta una struttura geometrica che non abbandona l’aspetto dinamico della linea. Quello che veramente colpisce il fruitore è la finezza del ritmo capace di creare figurazioni magiche nell’evolversi emozionale dell’opera. La cromia diventa un evento pittorico poichè si basa su accordi tonali i cui colori sono abbinati in una pastosa fusione del soggetto con l’atmosfera. La sua figurazione supera la realtà proponendo una narrazione estetica degli eventi che nasce da una felicità inventiva e da un’orchestrazione ricca di eleganza decorativa. Una tavolozza quella di Ober, che mediante un segno preciso modella soggetti interiorizzati nella mente del pittore e li fissa sul supporto materico arricchendolo di vitalità. Tutte le sue composizioni sembrano rinunciare alla pesantezza della sostanza per isolarsi in un ambiente solare ed incontaminato da qualunque elemento negativo. Immagini in cui emerge il sogno abbinato a riflessioni conscie che fanno emergere un desiderio di fuga dalla realtà e un bisogno di non confrontarsi con le brutture dell’esistenza. L’autore punta all’espressività del colore ma anche a un rigore matematico che implica una perfezione del tratto. Il progetto grafico fonde la maestria stilistica insieme alla sua sensibilità coloristica. Tutti i dipinti infondono serenità all’osservatore e gli danno la possibilità di essere introdotto nell’affascinante linguaggio della luce. E’ evidente una ricerca dell’armonia unita ad un dinamismo che coinvolge i personaggi: appare una visione realizzata su implulsi onirici ed estrema chiarezza visiva. L’impianto compositivo è calibrato: case, personaggi, animali, oggetti, mettono in scena bizzarre commedie in una rappresentazione da favola. Attraverso il gusto dello spettacolo e il senso della fantasia Ober intesse un colloquio con l’umanità che lo porta a riflettere sulle problematiche esistenziali. Una passione per il reale descritta come una fiaba senza drammi o affanni. L’artista predilige mettersi continuamente alla prova e sperimentare tecniche diverse nel suo modo di fare arte; infatti, in questa esposizione, presenta anche di video. Egli realizza immagini dove descrive una raffinata serie di giochi cromatici in cui toni forti, come il rosso, o riflessi abbaglianti, raccontano l’intrigante processo creativo che oggi si può attuare con il computer. E’ importante per il pittore, racchiudere nelle opere il senso poetico delle tinte focalizzando la sua attenzione pure sulla musica che accompagna la visione del video. In questo processo viene favorita l’idea più che il risultato; la creatività è comunque il motore di tutta questa versatile produzione pittorica. |
testo di Elena Gavazzi |
Piacenza |
2004 |
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testo di Angelo Sblendore |
Milano |
2004 |
L’arte moderna forse è in crisi ma non finisce mai di stupire perché, pur contestata, è anche creatività e manipolazione di un immenso patrimonio figurativo. Molti artisti, impossibilitati a continuare la tradizione, preferiscono esplorare nuovi campi. Questo è il caso di Paolo Ober che ci fa assistere ad un approccio artistico multidipliscinare, totalizzante, senz’altro eccentrico ma comunque seducente per intensità cromatica, varietà e visionarietà dei soggetti. Nelle sue ardite composizioni, Ober ben esemplifica un universo onirico, un naturalismo surreale e fantastico, un’ironia a tratti inquietante nonostante la vivacità coloristica e l’impostazione pacata e suadente. Grafico, disegnatore, fotografo, coraggioso sperimentatore non solo pratico – stili e metodi orientali e “bizantini”, texture, accorgimenti materici e narrativi – ma anche teorico – associazionismo musicale, suggestioni fisiologiche e percettive da psicologia gestalgica – Ober persegue ambiziosi programmi iconografici a mezzo tra viaggio nel subconscio e strana ma accattivante coesistenza di sogno e realtà. Per esempio le sue proiezioni di fotografie in dissolvenza introducono un’assoluta artificialità: aspetti un un reale programmaticamente stravolto che possono, però, celare inedite virtualità spaziali, un pittoresco senso del colore e del movimento accentuati da un brillante sottofondo musicale. Con straordinaria naturalezza riesce, poi, in estrema riduzione formale e calligrafico descrittivismo, a trasfigurare poeticamente spunti concreti privilegiando via via simbolismo (Lo gnomo, Concetto verticale) misticismo (Campo Magnetico, L’entusiasmo e la verità, Essere celeste), un panteismo magico ed avvolgente (Fonte magica, Al ruscello, Le nostre radici, Nuova vita). Immagini smaltate in assoluta perfezione formale con colori che, variamente ma delicatamente, sfumano nell’opposto o nel tono contiguo più o meno acceso e soggetti a volte incomprensibili per guizzante metaformismo tendono ad una mitica ricongiunzione con la natura e dimostrano come Ober ricerchi anche un puro spettacolo (Sulla vetta). Di più: un godimento estetico, una soddisfazione sensoriale riuscendo, velatamente, a caricare le singole opere anche di significati reconditi tutti, però, più o meno riconducibili al tentativo di dare continuità all’esperienza umana (Punti di vista, Doppio sogno, In giardino, Quattro amici al bar), unificare sensazioni uditive, tattili e visive dell’individuo nel continuum spazio-temporale. Quello che ha realizzato poi nel campo della video-art, tanto scoppiettante quanto rutilante dimostra, ancora una volta, l’abilità tecnica di Ober. Aeropitture futuriste, moderna cosmogonia, ma anche solitudini metafisiche ed esistenziali che trovano compiuta realizzazione in un clima di allegoria ed apologo morale sull’inconsistenza di grandi ideali e di tanto celebrati miti della storia dell’umanità. |
testo di Fabio Bianchi |
Piacenza |
2004 |
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testo di Ruggero Sicurelli |
Treviso |
2004 |
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testo di Antonella Raimondo |
Treviso |
2003 |
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testo di Giorgio Pilla |
Venezia |
2003 |
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testo di Paolo Rizzi |
Venezia |
1999 |
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testo di Fiorenzo Degasperi |
Trento |
1999 |
Le sue inconfondibili figure antropomorfe tendono le loro appendici di plastelina colorata per condurci in quella sorta di dimensione parallela e fantastica che ci attende come dietro allo specchio di alice. (…) Sono omini semplificati, con un tondo al posto della testa e corpi nastriformi elastici e sinuosi. In realtà la semplificazione è solo apparente, si tratta piuttosto della volontà di rendere queste figure il più universali possibile e il più possibile affini alla materia onirica dei suoi racconti. Le opere di Ober nascono da una lunga elaborazione ideativa e grafica e seguono una loro evoluzione che dalla metà degli anni ’80 le ha portate sempre più lontane dalla figurazione tradizionale verso quello che altrove è stato efficacemente definito “un mix di sogno e realtà” (A. Spagnesi, Firenze 1995), senza per questo rinunciare alla ricchezza di particolari ed alla complessità di una tessitura pittorica certosina. In un mondo siffatto, dove le emozioni non possono essere affidate all’espressione dei volti o alla mimesi comunemente intesa, l’impatto cromatico gioca il ruolo decisivo nella seduzione esercitata dalle tele di Ober: sono colori forti ed artificiali, usati volutamente puri per sottolinearne i contrasti. Il colore riempie lo spazio inconsistente in cui galleggiano figure, brani di archittetture o di natura, ed è un colore che si fa a volte materia, mescolandosi con la sabbia, la iuta e la pasta. Lo spazio/colore tende a travalicare i confini della tela, invade la cornice e sembrerebbe voler andare ancora oltre, inseguendo la luce che si irradia dal centro verso l’esterno, esplosa in migliaia di piccole pennellate. Questo frazionamento del colore e la forza centrifuga della luce fanno sì che la plasticità di corpi e oggetti, seppur evidente e insistita, sembri dissolversi in virgole luminose e metterne in dubbio la consistenza, rilevando la loro natura di sogno. Da alcuni anni anche la cornice è coinvolta in queste esplorazioni cromatiche e diventa essa stessa superfice pittorica, sempre più spesso modulata su più piani e sagomata in forme inattese o funzionali al racconto. Le figure sono in continuo movimento in questo spazio luminoso, un movimento mai anarchico o casuale, ma sempre sotteso ad una simmetria compositiva che preferisce di gran lunga il ritmo musicale alle rigide leggi fisiche, nel nome di una regolarità matematica che non si avverte nel prodotto finito. E così molti dei racconti visivi di Paolo Ober hanno un sottofondo sonoro: In-Canto, Blues, Echi, Voce notturna… Altri titoli evocano invece momenti di introspezione, legati a sensazioni o accadimenti personali, ma che sono anche tappe di un vissuto comune. Sono quadri dove il movimento della composizione segue un ritmo spiraliforme regolato da un moto rotante e ascendente che esprime graficamente uno sforzo tortuoso verso la libertà e la spiritualità. In quest’ottica un’opera come Nuovo programma si può quindi considerare un vero e proprio manifesto artistico: rappresenta una sorta di schermo televisivo minito di tre manopole indicanti i canali musica, colore, e libertà, capisaldi della poetica di Ober. Se dovessimo risalire alla, o meglio alle paternità artistiche di Ober, l’elenco sarebbe lungo e riunirebbe stili anche lontani cronologicamente e diversissimi fra loro, ma quello che conta è che questo sincretismo ci venga restituito in forme rinnovate e sostanzialmente personali. Quello che ne risulta è una razionalità geometrica piegata all’irrazionalità del sogno, una materia che si smaterializza nella musica e nella luce, un’arte che non vuol essere né criptica né inquetante, ma semmai evocativa di un mondo immaginifico capace di coinvolgerci tutti nel suo colorato girotondo vitale. |
testo di Elisa Aneggi |
Trento |
1999 |
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testo di Mario Cossali |
Callian du Var |
1999 |
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testo di Elisa Aneggi |
Trento |
1997 |
Se Paolo Ober non si accontenta di rappresentare l'informe e di esprimere l'incosciente, ma intende dare forma all'informe e sostanza all'inconsistente, esempio felice di questa volontà formativa sono i suoi recenti lavori pittorici, nei quali il gusto per le associazioni folgoranti, le deformazioni oniriche e le scenografie iperreali è saldamente sorretto da una qualità inventiva, da una mano duttile, precisa e sorprendente. Capace del grottesco e dell'inquietudine, di ironia e sommesso pensiero, Ober riesce a fare partecipi di quel magico stupore che sanno suscitare le figure e gli oggetti che sembrano venire incontro da un altro mondo, con pochi e forti tocchi distratti e insieme pronti a lanciarsi in divagazioni cromatiche imprevedibili, a partire da qualsiasi pretesto. Combinazione di timbri e registri, tra sonorità solare e gioiosa o melanconica e meditativa, la sua pittura - un itinerario, un deposito di immagini, un catalogo di simboli, un collage di sogni, paesaggi, interni, appunti di favole e fantasticherie, accesi, tutti, da una fosforescenza che sa di visione, aneddoto e mistificazione - è un'avventura trascinante, nella quale una pellicola di visioni sorprendenti e di metafore spinte fino ai confini dell'immaginazione, cattura e deforma nelle trappole dello sguardo e della memoria, situazioni improbabili e dimore inverosimili. Provocazione e comicità, camuffate nella finzione mitico scenico narrativa, animano i segreti pittorici, buttati a piene mani, con la convinzione di solidificare plasticamente storie difficili e accidentate, argomentate con vigore e necessità di sottoporre il reale all'apparenza di un virtuale figurare colorato, dentro la cornice acrobatica di una pièce incantata, grottesco metafisica, che sa percepire mito, fantasia e gioco senza diminuirli. Il suo modo di raccogliere i frammenti più vari del reale e dell'immaginario, entro una formulazione unificante di qualità tattili e visive, trova piena e coerente condensazione nelle tematiche e negli strumenti. La ribadita intenzionalità narrativa dedita allo sviluppo delle trame in un fraseggio sinuoso e alternato, cerca e trova una propria organizzazione, anche quando fondata su caotiche discontinuità. La proposta visiva alterna, tra inclementi fantasmi e sbilanciate prospettive oniriche ed emblematiche, piani gremiti ad altri che contengono solo uno o due particolari. Un'istanza è riferita al segno e un'altra è tesa ad affermare il colore: entrambe obbediscono interamente ad una disciplina che rende limpida la materia pittorica mentre viene conclamato un geometrismo che non concede eccezioni; al di là dei frantumi o della corposità coloristica di un sotteso surrealismo, appaiono echi derivanti dall'art nouveau, dalla pop art, si salutano Kandinskij e Chagall, e viene riverito imprescindibilmente Savinio. L'umanità, la quotidianità, gli interni, gli oggetti sono elementi, nei quali la poetica di Paolo Ober si rende riconoscibile: ansie ottagonali e cubici tremori solidificano quell'inconscio nel quale coesistono tutte le date, le epoche, i prima e i dopo, e cedono volentieri alla tentazione mobile, instabile e fluida di essere avventura e di alludere sempre al contrastato rapporto con l'avventura, pura elaborazione concettuale o suadente precisione coloristica che sia. Nella sua pittura, teatro del contemporaneo e della visione, qualche elemento inusuale o abnorme o imprevisto si insinua, stravolge e spezza momenti e segmenti canonici della realtà raffigurata, sconvolge l'ordine dei segni, generando l'enigma e il mistero. Nell'evenienza dell'arte fantastica, il caso e l'ambiguità sono allegorie indecifrabili ma l'immagine può essere disvelata; la chiarificazione è nel ricorso alle idee svolte in ogni figurazione, specchio coperto di vita e fantasia. |
testo di Elisabetta Rizzioli |
Rovereto (TN) |
1996 |
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testo di Mario Cossali |
Isera (TN) |
1996 |
La sintesi visiva di Paolo Ober trova nella figuretta dell'uomo la sua più efficace espressione, un ovoide o una sfera per testa, arti superiori e inferiori in cui sono fusi mani e piedi, un corpo duttile che può allungarsi ed accorciarsi a suo piacimento secondo i dettami di una fervida immaginazione fresca di invenzioni da terzo millennio eppure ricchissime di connessioni con auliche preziosità medioevali e bizantine. Dosando con grande maestria la sua vivacità ludica, Ober muove il suo "uomo" in uno scenario incantato ove i colori sono accesi e luminescenti come quelli impiegati dalla "video-grafica": la "figuretta" si moltiplica e galleggia in uno spazio alieno ed improbabile contorcendosi come quella di un "cartoon" televisivo. Se "l'omino radioattivo" di Keith Haring recuperava la pregnanza espressiva del graffitismo "pop" ed anonimo dell'America contemporanea, la figura umana di Ober subisce l'influsso dell'immagine creata al computer per la TV e si "disumanizza" entro una dimensione virtuale che gli si offre come paradiso protetto ma che può anche divenire un inferno della mente. Rischi e vantaggi offerti all'uomo d'oggi si mischiano come le carte da gioco in questa pittura sofisticata e gravida di messaggi: un mix di sogno e realtà. |
testo di Alvaro Spagnesi |
Firenze
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1995 |
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testo di Bruno Pollacci |
Pisa |
1995 |
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testo di Gino Micheli |
Trento |
1994 |
L'atmosfera magica evocata dai colori innaturali, la preziosità da mosaico che in certi lavori si ricava dall'effetto dei pigmenti su superfici polimateriche, sono sensazioni che trasmigrano dalla pittura di Paolo Ober al suo segno grafico, senza impoverirsi nell'assenza cromatica. Anzi, è interessante vedere come, già nell'acromia del disegno riesca a suscitare con poche linee e semplici soluzioni di suggestione volumetrica, una dimensione scenografica dello spazio. Nel suo alfabeto figurativo, che scandisce una sorta di ingenuità surreale, tutto è rapportato all'estrema sintesi geometrica e però le forme, così rese essenziali, della natura come dell'umano, perdono nel suo fare ogni rigidezza, tale che figure come il cono, la sfera, il cubo, il cilindro, assumono forme mobili, seducenti per quel loro ininterrotto fluttuare nello spazio. Emana da queste sue pagine, tanto nella trasposizione grafica che pittorica, una inconfondibile musicalità. Le figure danzano e si compongono nella scena in virtù della continuità del segno che le muove secondo un ritmo. L'elementarietà formale che Ober sceglie quale medium visivo è però specchio di una complessa messe di "informazioni", poichè in realtà questi suoi racconti per immagini ci appaiono dotati di qualità anche sonore e tattili e narrative; allora la veste grafica e pittorica rappresentano la sintesi privilegiata, il contenitore di un bagaglio ricco di emozioni, memorie, desideri e disillusioni, quel "Carro Quotidiano" (che ricorre nei suoi titoli) con cui dobbiamo sempre confrontarci. Ober ce ne offre una visione poetica e quasi favolistica ma non certo "naif". D'altra parte, inutilmente tenteremo di ascrivere tale esperienza nella scia di una scuola, stilistica o di pensiero, poichè è indubbio che certe lezioni storiche dell'arte contemporanea (pensiamo tra le altre a Kandinsky e a Chagall) siano di conforto e tuttavia, primariamente, l'autore ci indica, in specie attraverso le più recenti prove del suo percorso, una via sinceramente ed efficacemente autonoma. |
testo di Roberta Fiorini |
Firenze |